Ricordate “Carosello”? Andava in onda negli anni ’60 in Rai ed era un momento in cui le persone si ritrovavano davanti alla televisione a guardare gli spot pubblicitari per 10 minuti, fino alle 9 di sera.
“E dopo Carosello, tutti a nanna!”, era la frase che veniva detta a tutti i bambini che restavano attoniti a guardare quei mini sketch diretti da registi del calibro di Federico Fellini, Pupi Avati, Gillo Pontecorvo, Segio Leone, e con artisti come Totò, Macario, Vittorio Gassman, Raimondo Vianello, Edoardo De Filippo, Dario Fo, Mina e altri.
Insomma, per 10 minuti tutte le famiglie in possesso di un televisore si fermavano per guardare la “reclame“. Se lo racconti ad un ragazzo di 20 anni, non ti crede nemmeno se lo paghi…
Non ti crede, perché la “Generazione Y ” è quella della TV on demand, di internet e dei social media, del “click-per-view”. Youtube, ad esempio, dall’autunno scorso ha inserito degli spot su milioni di video prima di permetterne la visione. Quando noi cerchiamo il contenuto, per vederlo dobbiamo guardare lo spot di 10, 15 o 20 secondi.
Quanti di voi hanno detto, “sì infatti, mamma che odio…”? Bene.
Così ho aperto Google (Google Inc. è proprietario di Youtube dal 2006) e ho digitato nel campo ricerca ” pubblicità su youtube ” e ho dato uno spazio. L’immagine dell’articolo parla da sola. Il primo impulso appena ci si imbatte nel “Ad” associato al video, è cliccare “Indietro” sul browser e cercare un contenuto senza “Ads“, o di abbassare il volume delle casse.
Inoltre mi sono chiesto, quanto ledono questi spot “obbligatori” nel social sharing dei contenuti? Molti utenti ad esempio non condividono i video con gli spot all’inizio, pensando che alla vista della pubblicità, gli altri utenti ignorerebbero il contenuto. Ignorato il contenuto, ignorato lo spot e viceversa, che è una cosa ancora più grave. Questo per Google è un modo di spremere gli advertisers, che non si rendono conto che questo tipo di marketing è invasivo e persino lesivo per i loro prodotti e servizi, che a volte finiscono per essere addirittura detestati.
Un esempio può essere esplicativo. Una campagna di viral marketing incuriosisce l’utente a mangiare un certo cibo. Gli spot di Youtube equivalgono a ingozzarlo con un imbuto.
L’utente alla fine soffocherà…