Qualunque sia il campo ed il giro di affari di una azienda, ciò per cui di norma viene ricordata dal pubblico è spesso e volentieri il nome dei suoi prodotti o dei servizi che offre.

Questo fenomeno è talmente conclamato e costante nel tempo che vi gira intorno una vera e propria branca del marketing, nello specifico di oggi quello legato al web semantico, che studia e analizza il web e, nello stesso tempo, i trend del momento in tutti gli ambiti potenzialmente interessanti per il loro target affine, per poter creare il nome perfetto per ogni prodotto o servizio lanciato sul mercato.

Se pensate che dare il nome ad un prodotto sia una cosa semplice e che venga su in maniera del tutto naturale sappiate che nei casi migliori dietro un titolo di battesimo ci sono mesi di studi, analisi di mercato, e tentativi vari di testare i gusti di clienti e potenziali tali. Proprio per questo motivo è successo, nel corso della storia contemporanea, che il nome del brand si andasse a sostituire naturalmente, nell’immaginario collettivo, alla tipologia del prodotto.

Alcuni esempi?

Pensiamo agli Scottex per la carta da casa assorbente, ai post-it per i blocchetti gialli di note e appunti, o anche ai cotton fioc, per i bastoncini per la pulizia delle orecchie: tutti e tre questi prodotti oggi vengono riconosciuti come tali utilizzando non più il loro nome ma il nome della marca che nel loro campo è stata pioniera e ha riscosso un maggiore successo sul mercato.

Come per tutti i test e le sperimentazioni che si rispettino, a volte per sondare la tolleranza e il sentimento del proprio target si pensa bene di azzardare qualche scelta un po’ fuori dagli schemi. E’ quello che è successo, per esempio, contemporaneamente sia in Italia che in Inghilterra, con una bevanda energetica.

La presunta bibita tonificante e totalmente analcolica di cui parliamo è uscita in Italia qualche estate fa con un naming piuttosto particolare: Figà (dove l’accento è arduo da scovare sul packaging…). Quest’anno il corrispettivo inglese spopola sui tabelloni di mezza Londra con l’altrettanto eloquente “Pussy”. Una scelta piuttosto coraggiosa, senza dubbio, e che forse non contribuirà a sostituire la funzionalità di un prodotto con il nome del suo brand, ma che sicuramente  a breve darà un riscontro netto e preciso su quale sia la soglia della tolleranza di un target piuttosto vasto, se non altro perché trovare un filo logico che possa legare questo appellativo ad una bevanda energetica naturale, pur impegnando tutta la fantasia possibile, per noi resta ancora piuttosto arduo.