E’ passato il tempo in cui si era liberi di insultare e litigare senza lasciare traccia. Oggi se si decide di scatenarsi e offendere qualcuno utilizzando il mezzo Facebook si compie un reato incorrendo nell’accusa di diffamazione a mezzo stampa.

Recentemente infatti la sentenza della Corte Suprema di Cassazione n. 24431/2015 ha decretato che un commento offensivo postato sulla bacheca di un social network è reato. L’aggravante di diffamazione è poi valida soprattutto per social come Facebook o Twitter che hanno un enorme potenziale di pubblico raggiungibile.

Avete mai postato frasi offensive nei confronti di qualcuno?

Probabilmente lo abbiamo fatto in molti anche se cercando di mascherare l’offesa diretta. Eppure dovremmo stare molto attenti perché in quel momento stiamo mettendo a disposizione delle piazze una discussione tra due soggetti che dovrebbe essere privata e l’altra parte potrebbe non essere d’accordo.

La domanda che sorge in questo caso comunque è: considerando che pubblicando un qualsiasi commento su Facebook utilizziamo una bacheca che dovrebbe essere privata e che un soggetto può decidere anche di bloccare determinati commenti, ipotizzare un reato di diffamazione non significa ledere la libertà di espressione?

Il problema fondamentale sta proprio nell’interpretazione del mezzo Facebook: si crede che avendo un profilo privato ciò che si scrive sia aperto solo ad una schiera di eletti mentre questo social mette di fronte al mondo intero ogni sfumatura dell’esistenza dei propri utenti.
Ciò che scrivete su Facebook è inoltre memorizzato per un determinato periodo di tempo, che può arrivare fino a tre anni, è sempre rintracciabile, come è anche rintracciabile l’autore del commento stesso.

Nel momento in cui decidiamo di rendere “social” un sentimento, uno stato d’animo ci addossiamo ogni responsabilità dello stesso. La libertà di espressione è anche questo: essere liberi di esprimerci accettando la responsabilità di ciò che diciamo.

Dove è il limite tra libertà di espressione e reato?

Semplicemente, come la maggior parte delle cose, è probabile sia nel giusto mezzo, regolata dal buon senso e dalla educazione delle persone.
Educazione probabilmente da insegnare anche ai ragazzini autori di quello che viene definito Cyberbullismo, la tortura tramite social network di un altro ragazzo che ha portato anche a casi di suicidio.

Tutti dovremmo ripensare alla nostra responsabilità sociale nel postare una qualsiasi frase, commento o immagine tra le pagine di un social fruibile da chiunque al mondo, e questo dovremmo insegnarlo di conseguenza anche ai nostri figli che si trovano tra le mani uno strumento estremamente potente e pubblico quando non sono decisamente in grado di gestire responsabilità di nessun genere.